“La guida Slow Wine porta con sé il messaggio di Slow Food” quasi un manifesto politico. Ne è convinto Daniele Buttignol, segretario generale di Slow Food Italia che sabato 15 ottobre 2016 a Montecatini Terme ha presentato la guida vini Slow Wine 2017.
“Slow Wine racconta la storia della grande capacità dei produttori italiani di risollevarsi dopo lo scandalo del metanolo del 1986, e di restituire al cibo e al vino il valore che meritano. Il mondo del vino può fare da apripista per la nostra economia: il vino non ha ricetta, ma un territorio e dentro ogni bicchiere c’è la storia e l’identità di quel territorio. E questa è la formula vincente per promuovere e valorizzare la nostra produzione agroalimentare, che nell’identità può trovare la vera forza” ha spiegato Buttignol.
A fare gli onori di casa al Nuovo Teatro Verdi, il sindaco di Montecatini, Giuseppe Bellandi.
La mattinata di lavori dedicata al tema “Il futuro del mercato internazionale del vino. Stati Uniti, Francia ed Estremo Oriente raccontati dai grandi buyer“, è proseguita con gli interventi di Bruno Colucci, consulente agroalimentare & vino, Cibochic, former direttore acquisti, marketing e logistica Gruppo Carniato Europe, Francia, il quale ha detto: “La Francia si contende con l’Italia il primato di maggiori produttori di vino. Gelosa delle proprie eccellenze, difficilmente si apre al vino italiano. L’80% dei vini stranieri sono distribuiti dalla Gdo, e qui l’Italia, con i suoi 11 milioni di euro di venduto, arranca dietro Spagna, che vende per 35 milioni di euro, e Portogallo. C’è quindi un margine di progressione enorme. Dobbiamo puntare sul commercio di prossimità, l’unico che può dare una marcia in più alle nostre produzioni. Questo perché, oggi, il francese che desidera la qualità italiana può solo rivolgersi alla ristorazione. Per questo bisogna puntare sui negozi di prossimità, le piccole enoteche, le botteghe alimentari. Il vino italiano non deve competere con il prezzo, l’Italia, non è un paese da produzioni mastodontiche, non può sfamare il mondo o annegarlo con i suoi vini. Ma dalla sua parte ha la grande ricchezza di proporre caratteristiche uniche al mondo. Per questo si salverà con l’artigianato e con le piccole aziende che si impegnano per ottenere il miglior risultato possibile”.
Anche il mercato cinese è difficile, la conferma arriva da Alessandro Mugnaioli, sales advisor Yishang Wine Business Consulting Co, che spiega: “Il mercato cinese condivide molte caratteristiche con quello francese, perché, per i cinesi, il vino è per antonomasia francese. Ma non solo: prima di noi arrivano Australia, Cile e Spagna. Questo anche perché con Australia, Nuova Zelanda e Cile la Cina ha un accordo commerciale che abolisce i dazi. Come entrare stabilmente nel mercato cinese? Attraverso la formazione degli operatori, stiamo lavorando affinché si appassionino al nostro prodotto, anche perché in generale in Cina non si ha nemmeno idea che l’Italia produca vino. Per cui dobbiamo impegnarci per una grande comunicazione di massa e insistere per una promozione di qualità fatta dai consorzi e le cantine. Uno strumento utilissimo sarebbe proprio Slow Wine: il racconto perfetto per soddisfare la grandissima voglia di conoscenza dei cinesi”.
Iacopo Di Teodoro, NYC, italian portfolio manager, artisanal cellars e Giuseppe LoCascio, fine wine sales and marketing consultant, US, spiegano come stando ai numeri, dovremmo avere vita facile negli Usa dove da anni conserviamo il primato delle esportazioni. E invece, “negli States si consumano 340 milioni di casse da nove litri di vino (12 bottiglie) all’anno. Nel 2015, il consumo pro capite è stato di 15 bottiglie. Di questi, due terzi è prodotto domestico, soprattutto californiano. Nel terzo che rimane l’Italia se la gioca con tutti gli altri. Al momento siamo in testa, ma non con un margine altissimo: nove milioni di casse nei primi 4 mesi del 2016, che significa che un terzo di vino importato è italiano. Se poi guardiamo nello specifico i vini mossi, i nostri rappresentano praticamente i 2/3 delle importazioni a stelle e strisce. Ma questo non ci deve rassicurare. Il mercato statunitense è molto variegato e oggi dominato dai millennials: curiosi sì, ma poco dediti all’approfondimento, rincorrono soprattutto le novità. Quindi il miglior suggerimento che possiamo dare è quello di comunicare con grande chiarezza, di dare tutte le informazioni possibili a partire dall’etichetta, dalle certificazioni, considerato l’orientamento del mercato verso le produzioni biologiche e i vini naturali”.
Le conclusioni sono affidate a Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, co-curatori della guida Slow Wine. “La novità più rilevante di questa edizione sta nei valori della nostra della nostra associazione: le Chiocciole e i Vini Slow. Le prime evidenziano la sintonia con Slow Food per ragioni organolettiche, territoriali e ambientali, e i secondi riconoscono quei vini che più di altri condensano nel bicchiere l’identità del territorio d’origine”. Per ottenere questi riconoscimenti è fondamentale il rifiuto dei diserbanti chimici in vigna: “Una scelta necessaria, i tempi sono maturi e le tecniche agricole lo consentono. Del resto, dalla prima edizione di Slow Wine le produzioni che hanno scelto di convertirsi al biologico sono aumentate del 50%”.
Al termine della presentazione l’attribuzione di due riconoscimenti: Laura Bucci di RCR Cristalleria Italiana ha premiato Davide Panzieri per gli anni di impegno nella redazione della guida, una sorta di premio alla carriera. Alessia Cappellin di Verallia ha premiato Quinto Chionetti: premio alla memoria per il viticoltore mancato nella vendemmia 2016.
La giornata di presentazione è proseguita nel pomeriggio alle Terme Tettuccio, con la degustazione delle migliori 500 cantine italiane secondo Slow Wine 2017 con oltre 1.000 etichette in assaggio.
Fotografie di Marco Savino Photographer