“Buonasera a tutti, sono qui per fare delle domande all’artista che stasera terrà un concerto di solo piano, gli farò giusto qualche domanda”.
Così Stefano Bollani apre il suo incontro pomeridiano con il pubblico del Teatro Manzoni di Pistoia, con in mano due microfoni per intervistare se stesso.
In tuta, t-shirt e camicia sbottonata, con due sgabelli dove alzarsi e sedersi per ogni domanda e risposta, con un pianoforte alle spalle, Bollani pone la sua prima domanda: “quando ha iniziato a suonare per la prima volta il pianoforte?”. Si alza da uno sgabello, si siede sull’altro: “E’ una domanda che non mi è mai stata posta, avevo sette anni e da allora non ho più smesso, con questo credo di aver detto tutto, ho finito”.
Il pubblico applaude divertito, saluta Bollani calorosamente e inizia una piacevole chiacchierata dove l’artista, senza distacco, si mostra disponibile a raccontarsi come ad un incontro tra amici.
Racconta che l’amore per la musica è la prima cosa che spinge un artista a perseverare, a non abbandonare mai quella che è un’indole, un bisogno.
Sorride e racconta che lo studio necessario e fondamentale, non basta.
Lui ha sempre preferito ascoltare tanta musica, suonare.
Così il suo amore è cresciuto, non è stato lo studio, la nota dalla quale è partito, ma la passione.
Alla domanda di cosa significa per lui l’improvvisazione, racconta di un’immagine dove sopra ad un burrone sono posti tanti tasselli di legno, dove poter poggiare i piedi e attraversarlo; si può pensare di cadere, aver paura di inciampare è vero, ma improvvisare in musica non deve essere mai paura, almeno per lui non lo è, può non piacere quel che si è creato per un istante, ma non è cadere, sia ha la libertà e la creatività di cambiare.
Attraversare su quei tasselli, sentirsi liberi di “sentire la propria musica”.
“La musica è poesia, gode di se stessa, basta pensare a quello mentre si suona, non serve pensare ad altro”.
E come succede tra amici, tra una domanda e l’altra il tempo vola senza accorgersene, Bollani si siede al pianoforte, regala armonie deliziose per qualche minuto, per poi congedarsi e prepararsi al concerto che dopo qualche ora terrà a teatro.
Se l’incontro è stato piacevole e scherzoso, il suo concerto è un susseguirsi di onde, un continuo accendersi di fiamme, di contrasti tra carezze malinconiche e scoppiettii di emozioni gioiose, dove l’artista non dimentica mai che in quelle mani che tremano per la brama di creare nuove melodie, tutto avviene come un gioco spensierato, ma mai superficiale, cui Bollani non riesce a fare a meno.
Suona, con la dolcezza del jazz, duetta con Nico Gori al clarinetto che a sorpresa sale sul palco, prosegue con la grinta del blues, chiudendo con un saluto, senza parole, ma solo musica, che intona “je so pazz ” di Pino Daniele.
Maria Di Pietro
Foto di Maria Di Pietro